martedì 13 marzo 2012

Architetture nei Paesi in via di sviluppo: l'esperienza di Raul Pantaleo

Oggi sono andata al quarto appuntamento per il ciclo di seminari "Architetture nei Paesi in via di sviluppo. Bellezza e parsimonia" in cui l'ospite principale è stato Raul Pantaleo, architetto dello studio Tamassociati, che ci ha parlato di una delle sue tante esperienze in Africa ovvero la costruzione di una Clinica pediatrica a Nyala, in Darfur (Sudan) per conto di Emergency.


Il discorso generale è sicuramente interessante ma vorrei focalizzarmi su alcuni punti toccati dall'architetto che mi hanno colpito. Ovviamente il progetto della clinica ha poco a che fare con il tema dell'autocostruzione, in quanto lo studio si è affidato a un'impresa edile, ma ci sono alcuni fattori che a mio parere dovrebbero essere sempre presi in considerazione per un progetto (di autocostruzione) nei paesi in via di sviluppo.

Parliamo dell'importanza dei SIMBOLI legati alla popolazione, alla cultura e al territorio, come gli alberi secolari, l'utilizzo dei colori, dell'armonia dell'edificio con la CITTA', luogo della convivenza per poter percepire l'architettura come luogo. Da questi concetti generici che sono legati in modo intrinseco all'autocostruzione, vorrei arrivare ai due aspetti che mi hanno maggiormente interessato durante questa conferenza: la TECNOLOGIA e la MATERIA
Per definire la prima riporterò fedelmente ciò che ha scritto l'architetto Pantaleo nella sua presentazione: "QUELLA MIGLIORE E' QUELLA CHE NON USIAMO".
Cosa si intende esattamente?
Tutto sta nel capire cosa è davvero essenziale e cosa è solamente accessorio.
Mi pongo spontaneamente una domanda: riusciremmo noi oggi a capire davvero ciò di cui potremmo fare a meno? Sapreste vivere senza un condizionatore? 
Credo che partecipare attivamente alla costruzione della propria casa possa porre l'attenzione su dettagli che non curiamo mai e di cui non ci interessiamo minimamente: parlo della scelta dei materiali, degli intonaci, di un'attenta progettazione di impianti in base al clima..insomma ci sarebbe da aprire un dibattito! Può l'autocostruzione indurre a una progettazione più consapevole e a un'attenzione maggiore verso questi aspetti da parte dei fruitori veri e propri degli edifici?

E ora l'ultimo spunto di riflessione: I MATERIALI. "LA SOLUZIONE MIGLIORE E' LA PIU' SEMPLICE". L'autocostruzione credo possa far ragionare sulla possibilità di utilizzare materiali regionali, anche attraverso scarti e recuperi. L'esempio della clinica è il recupero nel sito archeologico di pietre delle antiche carceri, che sono state ricomposte, inserite nella facciata grazie all'aiuto di uno scalpellino locale e che ora fanno parte di un nuovo patrimonio comune, che ha portato a un recupero di saperi, un nuovo motivo di orgoglio 'popolare'. 

Le mie conclusioni sono che uno degli aspetti postivi dei progetti di autocostruzione è il fatto che questi  considerino la partecipazione di persone native del luogo (come in questo caso), che possano essere un modo per ripensare al futuro in modo non convenzionale e che possano portare a una maggiore sensibilizzazione delle comunità locali, per il valore dei materiali e per la tradizione costruttiva che a loro appartiene, partendo da saperi già noti e radicati nella cultura di ogni luogo.


Qui di seguito vi posto alcune immagini della clinica prese dal sito ufficiale dello studio Tamassociati e da un articolo di Domus dell'estate 2011.








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